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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 02/06/2015 @ 08:17

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che se sei nato nel 1933, l'età non la puoi trascurare; soprattutto se fai l'attore non puoi pensare di interpretare il giovanotto che fa perdere la testa alle giovani signore. Anche se poi nella realtà li conosciamo tutti i ricchi ottantenni con fidanzate e pupattole a pagamento men che trentenni. Comunque, dice Michael Caine, "meglio vecchio che morto, sia nella vita che nei film. E per quel che riguarda le donne, io ho da quarantatré anni una moglie bellissima, nessuna attrice giovane può eguagliarla. Il segreto del nostro matrimonio è che lei non ha il ruolo della donna all'ombra del divo, noi siamo una cosa sola e non ci lasciamo mai: lei viene sempre con me, dovunque mi porti il lavoro, così da decenni evito le eventuali tentazioni. Quando torno da lei ogni sera, mi sento molto fortunato".

Chi ha visto Youth - La giovinezza, il film di Paolo Sorrentino, era sicuro che al Festival di Cannes lei avrebbe vinto il premio per il miglior attore. Credo che ci pensasse anche lei, e per questo poi si è eclissato in silenzio.
"Era già successo, sempre a Cannes nel 1966, con Alfie: avevo trentatré anni, ero il protagonista nel ruolo di un proletario dalle facili conquiste, mi dicevano che ero il più bravo: invece niente, anche se almeno allora il film vinse la Palma d'oro. Però ci rimasi male e sono passati quarantanove anni prima di accettare di tornare al festival".

Purtroppo anche questa volta inutilmente. Lei però di premi ne ha vinti tanti, compresi due Oscar per il miglior attore non protagonista, nel 1987 e nel 2000, per Anna e le sue sorelle di Woody Allen e per Le regole della casa del sidro di Lasse Hallström.
"Ma nel film di Sorrentino sono tornato dopo tanti anni a un ruolo di protagonista, il che è molto raro per un uomo della mia età. È da tempo che mi assegnano personaggi secondari, per fortuna divertenti e anche in film di grandioso successo, come la trilogia di Batman diretta da quel geniale regista che è Christopher Nolan. Un giorno di dieci anni fa me lo trovai davanti alla porta della mia casa di campagna, non lo conoscevo, mi mise in mano uno script, ed era il suo primo Batman: mi disse, la parte del maggiordomo è tua. Devo dire "Il signore è servito?", gli risposi un po' seccato. Invece è un ruolo molto bello, quello di una specie di padre protettivo nella vita dell'orfano Bruce Wayne. Da anni mi offrono ovviamente solo parti secondarie, e mai di amante, perciò non ho attorno ragazze: capita da quando mi arrivò una sceneggiatura e obiettai che la parte dell'innamorato mi pareva troppo breve. La risposta fu, "ma tu sei il padre!". Mi sono abituato alla comodità di non essere il protagonista, il lavoro si sbriga in fretta, non devo alzarmi all'alba né stancarmi".

Però ha accettato di essere la star del film di Sorrentino.
"Io non sono una star, sono un attore, e continuerò a esserlo fino a quando sentirò di dare il mio meglio. Dopo anni di interessanti, comodi piccoli ruoli, quando Sorrentino mi ha offerto una magnifica parte da protagonista, mi è sembrato di ringiovanire, anche se il personaggio è, come me, uno che ha superato gli ottant'anni. Mi ha detto: "Questo film l'ho scritto per lei, se mi dice di no non lo faccio". Potevo impedirgli di girare quello che per me, e mi pare anche per il pubblico, è un ottimo film? In inglese poi, e in un bel posto, dove mia moglie si è trovata benissimo e abbiamo avuto tutto il tempo di stare insieme".

Lei conosceva il cinema di Sorrentino?
"Io faccio parte dell'Academy che assegna gli Oscar: La grande bellezza l'ho visto e l'ho votato. Sorrentino è un giovane geniale dalle immagini indimenticabili e soprattutto, come Nolan, scrive lui la sua sceneggiatura, cioè è un autore, non solo un regista. Dieci minuti dopo averla letta, ho subito detto di sì. Gli sono molto grato per il modo in cui mi ha lasciato libero, e per la gentilezza dolcissima con cui mi dava suggerimenti".

Michael Caine è un uomo di ottantadue anni portati con ironica serenità, una figura alta e dritta, pochi capelli rimediati nel film da un parrucchino biondo, sul viso quelle rughe che aveva anche in passato, e che gli consentono di esprimere pensieri, emozioni, segreti, senza muovere un muscolo: voce magnifica che noi non conosciamo a causa del doppiaggio. Non è mai stato bello ma sempre fascinoso, ovvio sognarsi la sua elegante perfidia dopo aver visto le due versioni di Sleuth.

Nella prima versione, col titolo italiano Gli insospettabili quella del 1972, i due diabolici personaggi sono Laurence Olivier, il vecchio, e Michael Caine, il giovane. In quella del 2007, lei è il vecchio e Jude Law il giovane.
"Delle due versioni io preferisco la prima, ma non perché in quella ero ancora giovane, ma perché la sceneggiatura era dell'autore della commedia, Anthony Schaffer, e mi è sembrata più cattiva, da togliere il fiato. La seconda, che pure era stata adattata da Harold Pinter, è forse troppo tecnologica e io non credo che le macchine possano raggiungere la perfidia sofisticata degli umani".

Dal 1950 a oggi, lei è scivolato impeccabile e spesso indimenticabile in più di cento film o serial televisivi, girati in Inghilterra o negli Usa ma anche in Sudafrica come nel 1964, con Zulu.
"È stato il film che mi ha lanciato: ero giovane, biondo e slanciato, molto british, e mi offrirono la parte di un ufficiale britannico aristocratico: io però parlavo cockney, la lingua del proletariato, e gli inglesi avrebbero capito la differenza, ma il regista no, perché era americano, non poteva conoscere il nostro incancellabile classismo che si esprime soprattutto nel modo di parlare. Solo col tempo ho imparato anche a fingere la pronuncia posh, che si adatta di più alla mania di usarmi come personaggio di alta classe; persino in un film come Vestito per uccidere, in cui Brian De Palma mi trasformò in uno psichiatra psicopatico, un killer che per uccidere le donne si vestiva da donna. Pochi anni dopo ho lavorato anche con un regista italiano, Vittorio De Sica, un uomo molto simpatico, gentilissimo, con quella sua allegra napoletanità, e andammo subito d'accordo".

Il film era Sette volte donna, sette storie interpretate da Shirley MacLaine allora all'apice della carriera, e lei aveva il ruolo di un investigatore privato pasticcione. Quarantotto anni dopo lei è tornato a fidarsi di un regista italiano, Paolo Sorrentino.
"Ho accettato anche perché non dovevo essere me stesso, in nessun film lo sono stato mai. Però potevo usare la mia età come un privilegio, addirittura invecchiandomi un po' ed esorcizzando quella malinconia, quel senso di inutilità che temo gli anni possano portare".

Conosceva già Jane Fonda?
"Più di trent'anni fa siamo capitati nello stesso film, California Suite, ma non abbiamo girato una sola scena insieme. La vedevo solo la sera a cena, con tutti gli altri. Era una donna molto bella e molto simpatica. Lo è ancora oggi, ed è anche coraggiosa. Per il film di Sorrentino, nelle scene con Harvey Keitel, si è lasciata invecchiare, piena di rughe che non ha, lei che è famosa per l'impegno con cui riesce a non mostrare i suoi anni".

La giovinezza è girato in un bell'albergo svizzero trasformato in spa: lei frequenta questi luoghi, cerca di rallentare il tempo?
"Relativamente sì, cammino molto, non bevo più mentre in passato bevevo anche troppo. Ma non vado nelle spa, non credo ai miracoli, lascio che il tempo scorra naturalmente, anche perché penso che nulla possa davvero rallentarlo: vivere alla giornata, con la fortuna di aver vicino dei grandi affetti e poter ancora lavorare, mi pare il miglior modo di vivere gli anni che restano. Naturalmente con la fortuna di una buona salute: nel 2008 in Is Anybody There? ho accettato il ruolo di un vecchio che si spegne nell'Alzheimer, ispirandomi alla tragica fine di un mio amico. Il film impressionò talmente mia moglie Shakira da impedire a nostra figlia Natasha, che era incinta, di andarlo a vedere".

Lei ha fatto a tempo da bambino a vivere nella Seconda guerra mondiale: che ricordi ne ha?
"La nostra era una famiglia proletaria ma molto unita, mio padre lavorava in una pescheria, mia madre era domestica a ore, c'era anche il mio fratellino Stanley. Con i bombardamenti, noi bambini fummo evacuati lontano dalla periferia londinese, e il ricordo più doloroso è quello del distacco dai genitori. Molto mi ha segnato invece la guerra in Corea: avevo diciannove anni e ogni giorno affrontavo la morte. Non l'ho mai dimenticato, credo che quell'esperienza mi abbia anche reso più forte".

C'è una foto di lei ventenne con un gran ciuffone di capelli e vestito con giacca e cravatta, come un uomo in età. Del resto lei si sposò a ventuno anni, con una giovane donna conosciuta nei suoi primi tentativi di fare teatro. Due anni dopo nacque la sua prima figlia, Dominique.
"Allora non era il tempo dei ragazzi, eravamo subito uomini e come tali dovevamo comportarci. Nel teatro amatoriale non facevo carriera, al massimo ero il poliziotto che nell'ultima scena arresta il cattivo. Dovevo lavorare, ero spesso disoccupato, mantenere la famiglia era quasi impossibile. Patricia tornò con la bambina dai suoi, io dai miei".

Il successo lo ha raggiunto a trentatré anni con Alfie, che le ha fatto avere la prima nomination all'Oscar, e con il primo dei tre film tratti dai romanzi di Len Deighton in cui è l'agente Harry Palmer.
"Lavoravo senza sosta, bevevo due bottiglie di vodka e fumavo ottanta sigarette al giorno. Guadagnavo come non avrei immaginato, comprai un appartamento per mia madre e per me un antico mulino nei pressi di Windsor, da restaurare e con un giardino che mi avrebbe aiutato a sentirmi meno confuso".

Poi arrivò nel 1971 Shakira, modella angloguianese, aveva allora ventiquattro anni.
"Stavo guardando con un mio amico la televisione, quando in una pubblicità di caffè ci fu questa apparizione: non avevo mai visto una donna così bella, piena di luce, con un sorriso stordente e me ne innamorai all'istante. Manovrai per conoscerla e finalmente il suo agente mi fece avere il suo telefono. Non avevo una gran buona fama, lei gentile ma fredda mi disse di chiamarla dieci giorni dopo. Così feci e lei accettò una cena e venne a prendermi per sicurezza con la sua automobile. Non riuscivo a parlare, ero totalmente stordito da tanto splendore. Il lavoro ci separò per qualche settimana, ci ritrovammo a Londra e da quel momento non ci siamo mai, mai lasciati. Ci sposammo a Las Vegas nel 1973, poi nacque la nostra Natasha. Facevo un film dietro l'altro, anche bruttissimi, ma così potei comprare la casa dei nostri sogni, nell'Oxfordshire".

Non avete mai lavorato insieme?
"Una volta. John Houston mi voleva in L'uomo che volle farsi re, ma una attrice si era volatilizzata e non si riusciva a trovare la sostituta. Shakira era a tavola con noi e si offrì. Così abbiamo anche lavorato insieme, ma poi alla fine, nel film, sposa Sean Connery!".

Nel film di Sorrentino alla fine lei incontra sul palcoscenico la regina Elisabetta e il principe Filippo. Nel 2000 è stata la regina a farla Sir, quindi vi siete incontrati davvero.
"Più volte: la sera dell'onorificenza, mi chiese sussurrando se sapevo qualche bella barzelletta. Certo le risposi, ma forse non adatte a una regina. Lei fu la prima a raccontarmene una, e così non potei esimermi".

Pensa di rallentare il suo lavoro?
"Non ci ho ancora pensato. Nell'ultimo anno ho girato cinque film, compreso La giovinezza e Interstellar di Christopher Nolan. Ma sono molto impegnato come nonno. Potrei essere bisnonno ma mia figlia grande, Dominique, non ha avuto figli. Natasha invece ne ha tre, un maschietto di sei anni e due gemelli, maschio e femmina, di cinque: uno è scuretto come la magnifica nonna, due sono biondini come il nonno".
E come tutti i nonni di questo mondo, estrae dalla tasca un vecchio portafoglio tutto sdrucito, e mostra trionfante la foto di tre carinissimi piccini.

il campionato è finito, abbiamo visto un certo numero di vittorie e anche del bel gioco, ma la sostanza non cambia, questo calcio fa schifo e non c'interessa. Perchè criticarlo quando si è in bassa classifica è facile, smettere quando si fa qualche risultato positivo non è però molto coerente, altrimenti la critica iniziale si svuota completamente di senso, o no? E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 01/06/2015 @ 07:24

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che migliaia di bossoli di pallottole affiancati a formare il viso di uno dei più famosi attori di Hollywood: Clint Eastwood. È l'opera realizzata da Ed Chapman (vedi foto), un artista di Manchester, per gli 85 anni del grande regista americano. Per realizzarlo Chapman ha utilizzato circa 10000 proiettili. 8890 per l'esattezza, di cui sei di una 44 magnum, in omaggio proprio ad una delle sue battute più famose. L'immagine raffigurata è quella dell'attore in Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo, pellicola in cui Eastwood pronuncia la celebre battuta: “Io so quello che pensi. Ti stai chiedendo se ho sparato sei colpi o solo cinque. Ti dirò che in mezzo a tutta quella baraonda ho perso il conto io stesso. Ma dato che questa è una 44 Magnum, cioè la pistola più precisa del mondo che con un colpo ti spappolerebbe il cranio, devi decidere se è il caso. Di’, ne vale la pena?". L'opera intanto ha già attirato l'interesse di un compratore, e sarebbe stata valutata intorno alle 10 mila sterline. "Sono sempre stato un fan di Clint Eastwood", ha detto Chapman. "E Dirty Harry (Ispettore Scorpio ndr) è probabilmente uno dei miei film preferiti, tra i tanti grandi film che ha fatto". Quattro anni fa un'altra opera dell'artista, un ritratto di Jimi Hendrix era stato venduto per 23mila sterline. Una vita da icona. Da icona dello spaghetti western a regista di primo piano, passando per cinque Oscar, cinque Golden Globe e tre David di Donatello. L'accigliato Clint Eastwood compie 85 anni, di cui ben 65 passati da protagonista del grande schermo. Attore, regista, compositore e produttore cinematografico, Eastwood nasce a San Francisco, da una famiglia protestante con origini irlandesi, scozzesi, olandesi e inglesi. Ma il poliedrico artista deve tutto ad un grande italiano, il regista Sergio Leone, che lo scelse per la 'trilogia del dollaro' portandolo al successo e consegnandogli un posto nella storia del cinema. Il divo ha poi ampiamente dimostrato il suo talento, recitando in pellicole di ogni genere, dalle commedie a quelle d'azione. Ma non basta. Eastwood è grande anche dietro la macchina da presa e ne sono la prova film come 'Mystic River', 'Gran Torino' e 'Million Dollar Baby', con cui si aggiudica due statuette per miglior film e miglior regia. Non ci resta che augurare lunga vita a quell'uomo senza nome, che dalle lande desolate del deserto di Tabernas ha raggiunto le vette del cinema mondiale. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 31/05/2015 @ 08:08

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che il videoregistratore ad uso domestico, oggi surclassato da dvd e streaming, compie 40 anni. Era il 1975 quando Sony lanciava il Betamax (il 10 maggio in Giappone, il 7 giugno negli Usa e tre anni dopo in Europa), innescando non solo una rivoluzione nei consumi ma anche la prima grande "guerra" tra formati elettronici. Una guerra per la conquista del mercato dell'home video che il Betamax, da pioniere, perse davanti a un altro formato: il Vhs, lanciato ad appena un anno di distanza, nel '76. Il Betamax fu l'antesignano dell'odierno "on demand", permetteva per la prima volta di guardare un film a casa nel momento desiderato e soprattutto consentiva di registrare un programma tv per poterlo rivedere ogni volta che si voleva. Tuttavia il Vhs ebbe la meglio, per via di elementi tecnici ma soprattutto per le scelte adottate da Jvc, la casa di produzione. Le videocassette Vhs avevano una durata maggiore (4 contro un'ora o poco più del Beta) e la Jvc decise di cedere la licenza di fabbricazione di Vhs a tutte le industrie che volevano produrre videoregistratori. Il prezzo degli apparecchi scese, i consumatori cominciarono a preferirlo, e le case cinematografiche iniziarono a produrre un maggiore numero di copie di film in formati compatibili per il Vhs. In più sul formato di Sony cadde una scure legale non da poco: Universal Studios e Disney avviarono una causa sulla possibilità che gli utenti potessero registrare materiale con copyright. Solo nel 1984 il videoregistratore fu dichiarato "non colpevole" di pirateria. Ma davanti alla diffusione del Vhs a fine anni '80 anche Sony si arrese, cominciando a produrre apparecchi compatibili col Vhs.

Settore ospiti con 3150 biglietti venduti, più altri genoani nei distinti e tribuna, insomma un vero esodo contando l'epoca moderna del calcio... non so da quanto non succedeva dalle nostre parti, non ricordo una trasferta con così tanti rossoblù al seguito negli ultimi anni, un tempo era la prassi ma oggi proprio no... e poi teniamo conto che parliamo di una serale. Boh! Sotto, Carapallese e Nordhal si fanno le coccole in Genoa-Milan 1955-56. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 30/05/2015 @ 07:37

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che il Napoli e i tifosi italiani piangono la scomparsa del "Petisso". Bruno Pesaola, che avrebbe compiuto 90 anni a luglio, è morto nella notte tra giovedì e venerdì all'ospedale Fatebenefratelli, dove era ricoverato da qualche giorno. Il suo nome è stato legato indissolubilmente alla maglia azzurra che è stata per lui quasi una seconda pelle. Un napoletano nato a Buenos Aires (da padre marchigiano) nel 1925: arrivò per la prima volta in città nel 1952 dopo tre stagioni alla Roma e due al Novata. Alla notizia della sua scomparsa, il Napoli ha twittato: "Un pezzo della nostra storia ci ha lasciati, ciao Petisso". "Ci ha lasciato il "Petisso", argentino di nascita ma napoletano nel cuore. Napoli non ti dimenticherà" è stato invece il messaggio del Sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Messaggi di cordoglio sono arrivati anche da molte altre squadre. Ala sgusciante e dai piedi buoni. Il "Petisso", il piccoletto, ha incantato subito gli appassionati con la sua classe. Otto anni in cui diventò un idolo dello stadio Collana, al Vomero. Dribbling e tiri all'incrocio, la miscela piaceva a tutti. Senza dimenticare le capacità umane: Pesaola è stato un vero e proprio leader tanto che il salto in panchina come allenatore è stata quasi una logica conseguenza. Così come il ritorno a Napoli, dove fu chiamato a metà della stagione 1961/62. Il Petisso realizzò un vero e proprio capolavoro: promozione in serie A ma soprattutto la vittoria in Coppa Italia (bissata nel '74 con il Bologna), unica squadra di serie B a riuscire nell'impresa. Fu allenatore del Napoli altre tre volte sfiorando la Coppa delle Coppe nel 1977 (sconfitta in semifinale con l'Anderlecht). Con il Napoli vinse anche una coppa delle Alpi e una coppa di lega italo-inglese. Il suo cruccio è sempre stato quello di non essere riuscito a regalare lo scudetto alla piazza che lo ha adottato, tanto che nel 2009 diventò cittadino onorario. Ci è riuscito alla Fiorentina nel 1969, ma subito dopo la conquista dello storico tricolore ha pensato a Napoli, dove ha scelto di vivere con il suo stile inconfondibile. Con lunghe notti a parlare di calcio, fra sigarette e battute. Ha chiuso la carriera di allenatore nel 1985 in Campania, dove l'aveva iniziata nel 1961 con la Scafatese, guidando la Puteolana. Solo una volta, dal suo arrivo, aveva lasciato l'Italia per motivi professionali. Fu nella stagione 79-80 quando allenò i greci del Panathinaikos. Appassionato, ironico, mai sopra le righe e naturalmente sempre innamorato del suo Napoli, fedele compagno di viaggio assieme alle immancabili sigarette. Alla sua figura è ispirato il personaggio del "Molosso", interpretato da Nello Mascia nel primo film di Paolo Sorrentino "L'uomo in più" del 2001. Un film capolavoro per un grande talento del calcio che fu, un mix straordinario tra cinema e football. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 29/05/2015 @ 07:22

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che con la chitarra in mano, a piedi per via Sarpi, a Milano. Intonando la sua hit più nota, L'italiano, a sorpresa in cinese. L'inedita performance di Toto Cutugno, per lanciare un programma Real Time (Italiani made in China, a partire dal 3 giugno in prima serata), è diventata un piccolo "caso" sul web: condivisa e apprezzata da migliaia di utenti su Facebook, criticata da alcuni navigatori con offese anche piuttosto pesanti. Alle quali il cantautore ha risposto con un post, pubblicato sul suo profilo Fb, in cui scrive: ''Volevo semplicemente dire a quelli che mi hanno offeso e criticato che cantare in cinese è stata una sfida divertente con me stesso. Però ci tengo a dire che nella mia carriera non ho scritto solo 'L'italiano', ma oltre 300, dico 300 canzoni di cui molte di grande successo, che sono ancora oggi in giro per il mondo. Quindi ai numerosi amici di Fb (che me ne hanno dette di tutti i colori) dico: Non rompetemi i coglioni''.

L'assenza del prof. Carlo Bottari, arbitro del Coni nominato dal Genoa? Ho perso le parole, eppure ce le avevo qua un attimo fa, dovevo dire cose, cose che sai, che ti dovevo, che ti dovrei. Ho perso le parole, può darsi che abbia perso solo le mie bugie, si son nascoste bene, forse però, semplicemente, non eran mie... Ho perso le parole, oppure sono loro che perdono me, io so che dovrei dire, cose che sai, che ti dovevo, che ti dovrei. Ma ho perso le parole. Vorrei che mi bastasse solo quello che ho, mi posso far capire, anche da te, se ascolti bene, se ascolti un po'... Sotto, Genoa-Inter 4-3 del 25-12-1955, una rimonta clamorosa: 13' Skoglund (I), 34' Corso (G), 59' Nesti (I), 63' Vonlanthen (I), 65' Frizzi (G, Rig), 72' Frizzi (G), 87' Carapellese (G). E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 28/05/2015 @ 07:22

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che è stata la ex attrice hard Selen, all'anagrafe Luce Caponegro, la più veloce, a Ravenna, a presentare la richiesta di divorzio breve innanzi al Tribunale della città romagnola. A dare conto di quello che potrebbe essere anche un record nazionale, visto che la richiesta è stata depositata in cancelleria ieri mattina alle 8.30, è l'edizione ravennate del 'Corriere Romagna'. "Speriamo di poter chiudere tutto entro l'estate" ha spiegato al quotidiano Marina Di Molfetta, avvocato della ex pornostar che ha depositato la richiesta di divorzio. "E' serena - ha raccontato della cliente - sta gestendo il divorzio con grande civiltà e mi ha fatto anche una battuta: 'va a finire che siamo i primi in Italia a sfruttare la nuova legge'. Il che - ha argomentato il legale - a dire il vero è anche assai probabile: di sicuro a Ravenna siamo stati noi i primi". Luce Caponegro, si era sposata con l'allora compagno nel giugno del 2012 e, chiosa il 'Corriere di Romagna' dopo un anno, nel novembre del 2013, si era presentata per la prima volta in Tribunale per la separazione. Ora la richiesta di divorzio breve.

Oggi è il giorno della terza sentenza, quella definitiva, che decreterà l'esclusione o meno dalle competizioni europee. Oltre 2000 genoani invaderanno Sassuolo per la sfida di domenica, una partita che potrebbe essere onirica, allucinatoria, assurda, commovente... bisognerebbe ricercare nella storia del calcio una trasferta di 270 Km. con così tanti tifosi ospiti senza che, sportivamente parlando, in gioco ci sia qualcosa. Sotto, Patogol in Juventus-Genoa di 25 anni fa. Ultras granata e Fossa Alessandria con noi. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 27/05/2015 @ 07:48

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha definito le nozze gay "una sconfitta per l'umanità". Lo ha detto intervenendo al premio internazionale 'Economia e Società', a Palazzo della Cancelleria, a Roma. "Sono rimasto molto triste di questo risultato, la Chiesa deve tener conto di questa realtà ma nel senso di rafforzare il suo impegno per l'evangelizzazione". "Credo che non si può parlare solo di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell'umanità", ha aggiunto Parolin sul sì ai matrimoni gay in Irlanda. Il segretario di Stato Vaticano ha anche fatto riferimento alle parole dell'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, dopo la vittoria dei 'Sì' ai matrimoni gay al referendum irlandese. "Come ha detto l'arcivescovo di Dublino - ha detto ancora - la Chiesa deve tenere conto di questa realtà ma deve farlo nel senso che deve rafforzare tutto il suo impegno e tutto il suo sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura. Credo che non si può parlare solo di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell'umanità. La famiglia - ha anche detto in risposta a una domanda su come procedano i lavori del Sinodo dei vescovi sulla famiglia che in questi giorni ha messo a punto il nuovo Instrumentum laboris - rimane al centro e dobbiamo fare di tutto per difendere, tutelare e promuovere la famiglia perché ogni futuro dell'umanità e della Chiesa anche di fronte a certi avvenimenti che sono successi in questi giorni rimane la famiglia. Colpirla sarebbe come togliere la base dell'edificio del futuro". Nel suo intervento il segretario di Stato della Santa Sede ha affrontato anche la questione dell'ambasciatore francese Laurent Stefanini, nominato dal governo Hollande ma che non ha ottenuto il gradimento dal Vaticano, tra Santa Sede e Francia. "Il dialogo è ancora aperto e speriamo che si possa concludere in maniera positiva", ha aggiunto Parolin. Secondo alcuni media francesi a Stefanini, indicato da Hollande come rappresentante francese il 5 gennaio, sarebbe stato negato l'accredito perchè di orientamento omosessuale.

Ho letto da qualche parte che il Genoa non ha la licenza Uefa da 5 anni, al contrario di moltissime altre squadre, anche di bassa classifica dal 2010 ad oggi. Personalmente, non discuto la decisione dell'Uefa, l'ingoio con umiliazione. Però chiedo che siano chiari ed espliciti i motivi: punto per punto, se abbiamo puffi in giro per il mondo, si parla di parecchi giocatori non pagati, ecco vorrei sapere quali, per che cifre, in che anno... perchè non è possibile che noi tifosi ce lo prendiamo nello stoppino e in più siamo tenuti all'oscuro, dando a tutti la possibilità di far credere cose non vere. Mi auguro quindi di poter leggere un comunicato ufficiale che spieghi per bene la situazione. Sotto, Sergio Girardi nel 1973 a Palermo: senza guanti e con la coppola. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 26/05/2015 @ 07:23

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che era il clown. Così chiamavano Bruce Grobbelaar. Perché in campo rideva e perché una sera, l'anno prima, s'era messo a danzare sulla linea di porta per parare i rigori alla Roma, in finale di Coppa dei Campioni. "Joe Fagan, l'allenatore, mi mise un braccio sulla spalla e fece: tranquillo, nessuno s'aspetta niente da te, se ti fanno gol non te ne faremo una colpa. Mi tolse un peso. Allora inventai quel balletto con le gambe, gli "Spaghetti Legs", e Bruno Conti sbagliò. Funziona, mi dissi, lo rifaccio. E sbagliò pure Graziani. Gli italiani mi diedero del pagliaccio. Ma vincemmo la Coppa. Pagliaccio a chi?". Dodici mesi dopo, Grobbelaar era all'Heysel. Un'altra squadra italiana. "Prima di ogni partita facevo un giochino. Calciavo il pallone contro l'interruttore, per colpirlo e spegnere la luce. Pensavo che riuscendoci, avremmo vinto noi".

Il vostro spogliatoio era il più vicino al settore Z. Sentiste un tonfo. E poi?
"Mancavano cinque minuti al riscaldamento, capimmo che era successo qualcosa: arrivava gente nella nostra zona. Quattro o cinque di noi s'affannarono a dare una mano. Passammo dall'interno dei secchi d'acqua, prendemmo degli asciugamani dalle docce e li lanciammo fuori. Riuscimmo a fare solo questo, ma ormai sapevamo abbastanza per non voler giocare".

L'Uefa lo impose. Com'era il clima in campo?
"Uscimmo, e nella mia area di rigore c'erano tre coltelli a terra. Li avevano lanciati dal settore alle spalle. Questo era il clima. Eravamo là ma con la testa altrove. Sia noi sia loro. Dall'inizio alla fine per me è stato un istante. Un flash. Fino al silenzio totale in hotel, dopo la partita".

Si è chiesto cosa sarebbe accaduto se avesse vinto il Liverpool?
"Eravamo andati in Belgio per alzare il trofeo, credo che lo avremmo fatto. Alla Juve è stato rimproverato di non aver restituito la Coppa. Perché avrebbe dovuto? L'errore quella sera fu giocare, la Juve fece un gol, la Coppa è sua".

Cosa è stato dopo l'Heysel per lei?
"Ho cercato la verità. Non furono autentici tifosi del Liverpool a causare la tragedia. Molti avevano trascorso la mattina con quelli della Juve, giocando a calcio per le strade, andando a bere una birra insieme. Non posso credere che l'atmosfera sia cambiata allo stadio. Io credo a un'altra cosa".

A cosa?
"C'era gente di Londra all'Heysel. Venuta apposta per fare quel che fece. Scatenarono l'assalto e andarono subito via. Perciò non li hanno mai trovati".

È la tesi dei suoi dirigenti dell'epoca. Il motivo?
"Liverpool era odiata, c'era invidia per i suoi successi nel calcio. Mia suocera era venuta alla partita, si era imbarcata con un traghetto. Anche mia madre era lì, per la prima volta si muoveva dal Sudafrica per la finale: la chiami, confermerà tutto. Mia suocera mi raccontò che all'imbarco c'erano dei tipi che distribuivano volantini su cui era scritto che sarebbe stata l'ultima partita in Europa del Liverpool. Avevano le braccia tatuate con gli stemmi di alcune squadre di Londra. Erano del National Front, l'estrema destra. Ho provato a indagare".

In che modo?
"Sono stato diverse volte a Londra, nei locali del National Front, cercando di agganciare qualcuno che sapesse qualcosa. Ho provato a prendere informazioni, avevo un amico poliziotto. Ma non sono riuscito ad arrivare alle prove. Né io né altri".

Ha mai sognato quella notte?
"Incubi ne ho avuti, tanti. Ero all'Heysel, ero a Sheffield quattro anni più tardi nel giorno della tragedia di Hillsborough: 96 tifosi morti. E fra i 17 e i 19 anni ho fatto la guerra civile in Rhodesia con l'esercito, ai confini con il Mozambico. La guerra sconvolge, ti porta negli occhi la tragedia. La vita è preziosa, sopravvivere è un regalo che arriva da qualche parte. Per questo giocavo a calcio ridendo".

Perché oggi vive in Canada?
"È il posto dove ho iniziato. Ci sono buone scuole, buoni medici, si vive bene. Alleno i portieri dell'Ottawa Fury, tre ragazzi che lavorano duro, a cui piace imparare. L'unica cosa che a un portiere non insegni è la personalità. O ce l'hai o non ce l'hai".

Lei come scoprì di averne?
"A sette anni vidi mio padre giocare. Ho sempre voluto fare il portiere, è stata la prima decisione presa in vita mia. Gli altri ragazzini volevano stare tutti in attacco, mi sono sempre parsi matti, in venti dietro la palla e solo uno poteva averla. Se non eri bravo abbastanza da stopparla, rischiavi di non toccarla mai. Meglio stare in porta. Ero più sveglio io o loro? Oggi uno sveglio è Buffon. Il migliore. Non è uno dei soliti matti. Come non lo era Zoff. Zoff mi ha ispirato più di tutti, anche se non giocavo come lui, ognuno ha il suo stile. Il mio era aggressivo. Uscivo dai pali, andavo a fermare i pericoli prima possibile. È come nella vita. Se permetti ai problemi di venirti incontro, i problemi non finiscono mai".

Bruce, è mai tornato all'Heysel?
"Ogni uomo dovrebbe tornare nei luoghi dei suoi orrori, fare i conti con i demoni, liberarsene. Sono tornato nei posti in cui ho fatto la guerra, in Mozambico, in Zimbabwe, in Sudafrica. E sono tornato all'Heysel. C'è una targa, una data, i nomi delle vittime. Non mi pare abbastanza, forse il Belgio potrebbe fare qualcosa in più per le famiglie degli italiani. Così come sarebbe splendido se Juve e Liverpool giocassero una partita ogni anno, per sempre. Per sentirsi uniti da quella tragedia. Sono passati trent'anni, all'epoca la nascita di mia figlia mi aiutò, ora ho questo bel lavoro in Canada. Gli incubi sono finiti. Adesso sono in pace".

La partita di Sassuolo ha perso importanza, la classifica è già chiara, per arrivare quinti la Fiorentina dovrebbe perdere o pareggiare in casa col Chievo, molto improbabile, e noi vincere in Emilia. In settimana arriverà poi la sentenza sull'Uefa, c'è ancora chi ci spera. Chi andrà a Sassuolo lo farà quindi per trascorrere una bella giornata e per ringraziare questa bella squadra. Sotto, Loriano Cipriani con noi nel 1986-87, a formare un discreto tandem d'attacco (di categoria) con Gigi Marulla. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 25/05/2015 @ 07:22

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che oltre alla bella partita di sabato, un dato da ricordare è rappresentato certamente dai 10.659 paganti (più 16.502 abbonati), per un totale di 27.161 spettatori, se poi aggiungiamo under 14, inviti, sponsor, addetti, media, ecc ecc saliamo sicuramente oltre i 28.000, una cifra ormai rarissima che si può raggiungere solo nei derby... ma questo dato già sorprendente diventa meraviglioso se si pensa che: 1. parliamo di partita serale - 2. con tempo uggioso - 3. dopo la mazzata della mancata licenza Uefa. Con il pari della Doria ieri, siamo matematicamente sopra e abbiamo ripreso la supremazia cittadina, e anche qui vorrei fare una considerazione: alla fine saremo sopra di 1 o 2 punti, ma in realtà abbiamo stravinto il derby del campionato, perchè la rimonta di 10 punti fa sempre un certo effetto e poi il nostro gioco è molto ma molto più spettacolare del loro. Infine, io non so cosa sia successo alla squadra, ma un certo merito devono pur averlo i preparatori, perchè i nostri a maggio vanno il doppio più veloce di tutti gli altri. Anche Gasperini merita tutto il nostro bel voto: personalmente quando non faceva la differenza l'ho sempre scritto, ma da Pasqua in poi ha dato il bianco, arrivando a un 8 pieno, e la mente vola indietro a quel tecnico che arrivò da noi in serie B facendoci vedere per la prima volta un calcio nuovo, veloce, offensivo... mister Gasperini è tornato a fare il Gasp!? noi ci auguriamo di si. Sotto, John van 't Schip con famiglia ai tempi della giovinezza. E forza Genoa!

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Emerge che... - da Un Cuore Grande Così il 24/05/2015 @ 08:36

Dalla rassegna stampa (e non solo) emerge che una bellissima serata da ricordare, grazie ai giocatori e al tecnico che hanno sviluppato un gioco incredibile, un saluto agli amici di Cosenza, ricordando Enrico Cava. E forza Genoa!

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