 |
Presentazione
Contributi Strutture
Old editions |
|
NEWS | |
La storia di Robin Friday, il calciatore inglese chiamato anche "l'altro George Best" e primo nella speciale classifica dei calciatori più "cattivi" di tutti i tempi. (da: epicfootball.org) Robin Friday, nasce il 27 luglio 1952 ad Acton, un quartiere difficile della zona ovest di Londra. Fin da piccolo risulta molto problematico: svogliato ed incostante negli studi, mostra però un notevole talento calcistico. Durante l'adolescenza fallisce vari provini per club prestigiosi di Londra quali QPR, Chelsea e Crystal Palace a causa del suo carattere selvaggio. A 15 anni lascia la scuola, comincia ad assumere droghe e si mette a fare il muratore. A 16 anni viene sorpreso dalla polizia a rubare un autoradio e finisce in riformatorio: qui rinforza il suo fisico e mostra tutto il suo talento calcistico nella squadra carceraria tanto da ottenere il permesso di potersi allenare con la squadra giovanile del Reading. Scontata la pena torna ad Acton, il suo quartiere, dove conosce una ragazza di colore e la mette incinta. Robin sposa la ragazza, Maxine, e nel frattempo trova il suo primo ingaggio da calciatore: sono i dilettanti del Walthamstow Avenue Football Club a dargli il primo stipendio (10 sterline a settimana). Il periodo nel suo nuovo club dura poco, giusto il tempo di mettere in mostra tutto il suo repertorio dentro e fuori dal campo: Robin Friday ha un enorme talento unito ad un carattere che lo porta ad essere donnaiolo, alcolista e drogato. Difetti però che non scoraggiano nel 1971 l’Hayes dall'ingaggiarlo triplicandogli la paga. Una leggenda narra che una volta l’Hayes ha iniziato una partita in 10: nessuno sapeva dove si trovava Robin Friday: l'hanno trovato al bar dello stadio, completamente ubriaco, e quando fa il suo ingresso in campo sono passati già una decina di minuti. È messo talmente male che gli avversari lo ignorano per tutta la partita ma pochi minuti dalla fine, approfittando della libertà che gli viene concessa, riceve un lancio in profondità e segna il gol della vittoria per la sua squadra. In quella stagione l’Hayes avanza in Coppa d’Inghilterra fino a giocare contro il Reading: nonostante la sconfitta subita, Robin Friday si mette in mostra impressionando Charlie Hurley, manager del Reading, che lo acquista per 750 sterline. I primi allenamenti nel Reading non partono con il piede giusto: in una partitella Friday riesce a far male due o tre compagni di squadra con la sua foga agonistica, costringendo l'allenatore a farlo allenare con la squdra riserve per evitare che i veterani del gruppo si vendicano. Mister Hurley vorrebbe aspettare quindi a riportarlo in prima squadra in attesa di una maturazione ma pochi mesi dopo il Reading è in una posizione di classifica delicata e non vince da mesi: un piccolo club non può permettersi di fare a meno di Robin Friday. Il suo esordio in campionato è, secondo la stampa locale, “stupefacente” e la settimana successiva arriva anche il primo gol con i “Royals”. Da qui comincia un crescendo incredibile: in pochissimo tempo quel ragazzo che gioca senza parastinchi, che segna gol sensazionali e che fa una vita sregolata diventa l'idolo dei tifosi del Reading. Tutto sembra andare per il meglio eppure i suoi demoni non lo abbandonano: fuori dal campo è sempre peggio, viene cacciato malamente da diversi locali per i suoi atteggiamenti eccessivi. I compagni di squadra lo sopportano per via del suo enorme talento, ma alcuni iniziano ad avere malumori. Viene trasferito in una casa vicino alla sede del club, ma non migliora, anzi Friday viene segnalato alle autorità perchè mette dischi Heavy Metal ad altissimo volume in orari notturni, spesso in preda ai deliri del LSD. Passano così due stagioni al Reading, in cui è comunque sempre il migliore in campo, e nella terza stagione da professionista nei Royals decide di trascinare letteralmente il club alla promozione in 3a divisione: un risultato inaspettato e che arriva grazie alle sue 20 reti. Durante la festa per la promozione Robin Friday scavalca i cartelloni pubblicitari, afferra un poliziotto e lo bacia. Su questo episodio in seguito ha dichiarato: “Lo avevo visto tutto serio, invece era un momento di festa. Ma mi sono pentito di averlo fatto, visto che odio così tanto i poliziotti”. La promozione della squadra non ha cambiato Robin Friday, che nonostante sia l’idolo dei tifosi viene costretto ad andarsene dal presidente del club stufo dei suoi comportamenti: viene ceduto così al Cardiff City, una squadra di seconda divisione, che per lui offre 28.000 sterline. In Galles si presenta subito in grande stile: viaggia in treno senza biglietto e viene arrestato appena arriva alla stazione. L’esordio di Friday con la maglia del Cardiff avviene dopo una notte dove si dice si scoli ben 12 litri di birra: avversario è il Fulham, guidato in difesa dall’ex-pilastro della Nazionale Inglese Bobby Moore. Robin Friday lo ridicolizza, segnando 2 reti e "omaggiandolo" con una strizzata ai testicoli, un modo per dire “ehi, tu sei una leggenda ma io sono Robin Friday e me ne frego di te”. Dopo qualche mese Friday salta numerosi allenamenti, arriva spesso alle mani con avversari e compagni di squadra e viene trovato sempre svenuto negli hotel dove la squadra va in ritiro. Prende più volte il treno per andare e venire da Cardiff a Bristol, dove risiede, senza mai pagare il biglietto. Robin Friday in terra gallese passa alla storia grazie ad una rete. È il 16 Aprile del 1977. Il Cardiff gioca in casa contro il Luton. È una partita maschia, Robin fa di tutto per segnare andando più volte a scontrarsi con il portiere avversario finché non decide di colpirlo al volto con una scarpinata. Viene ammonito e si scusa, porgendo la mano al rivale, ma Aleksic, questo il nome del portiere, rifiuta la stretta e fa ripartire il gioco passandola ad un difensore: ecco allora che Robin Friday insegue a tutta velocità il difensore, recupera il pallone, punta il portiere, lo mette a sedere e segna. È un gol strepitoso, che la punta del Cardiff festeggia mostrando le dita a V al portiere rivale a terra in segno di vittoria. La stagione succesiva le cose vanno peggio sia per il Cardiff che per lo stesso Robin Friday che durante l’estate si ammala di un misterioso virus che gli fa perdere oltre 10 chili e lo tiene lontano dai campi di gioco per 3 mesi. Quando rientra l’avversario è il Brighton e il suo marcatore è lo stopper Mark Lawrenson, che non risparmia entratacce al limite del regolamento. La cosa fa innervosire talmente tanto Friday che alla prima occasione, su un intervento in scivolata del rivale, lo salta e lo colpisce in pieno volto con un calcio. Viene ovviamente espulso, ma anziché raggiungere il suo spogliatoio raggiunge quello degli avversari, cerca e trova la borsa di Lawrenson e ci fa la cacca dentro. La misura è colma, il Cardiff in 10 e già ultimo in classifica perde 4 a 0 e Andrews, l’allenatore, lo caccia: Friday finisce fuori squadra e a fine anno annuncia il suo clamoroso ritiro. Così la stagione 1977/78, la quinta da professionista, è l’ultima da calciatore per Robin Friday che si ritira a soli 25 anni. Torna a casa, nella sua Londra, e viene contattato dal Brentford ma quando ha già svolto il ritiro e sembra essere in forma ci ripensa e molla tutto. Lo contatta anche il Reading spinto da una raccolta di firme dei suoi tifosi, ma anche in questo caso declina: quando il nuovo allenatore, Maurice Evans, gli propone di mettere la testa a posto “per tre o quattro anni, così arriverai anche in Nazionale” Robin Friday risponde chiedendo l’età del manager e aggiungendo poi: “Ho la metà dei tuoi anni e ho già vissuto il doppio di te”. Finisce a vivere in una casa popolare ad Acton, permanenza che intervalla con quella in prigione, dove viene spedito per essersi travestito da poliziotto ed aver sequestrato droga che naturalmente ha poi consumato lui stesso. Il 22 dicembre del 1990 Robin Friday viene trovato morto nel suo appartamento londinese a causa di un arresto cardiaco da overdose. Robin aveva appena 38 anni. Robin Friday viene eletto dai tifosi del Reading “Calciatore del Millennio”. Se ne va con appena 3 stagioni e mezzo al Reading e una e mezzo spesa al Cardiff, senza aver mai giocato in Prima Divisione ne in Nazionale e senza aver mai vinto un trofeo. Friday era un calciatore duro ed egoista, incapace di giocare con la squadra ma fermo nel suo proposito di puntare e saltare l’intera difesa da solo per segnare, cosa che avveniva poi anche abbastanza spesso. Un talento frenato soltanto da se stesso. Un talento così grande, comunque, da riuscire in appena 5 stagioni di serie inferiori inglesi ad entrare nell’immaginario collettivo della patria del calcio. Un uomo che, se non è stato un campione, è stato semplicemente perché non ha voluto esserlo. Lui preferiva essere semplicemente Robin Friday, “il più grande calciatore che non avete mai visto”.
Football Aid per l’ospedale Gaslini. Sabato 24 e domenica 25 maggio andrà in scena allo stadio Luigi Ferraris la prima edizione italiana di Football Aid. Come sempre il Genoa CFC 1893 è pioniere e apre la strada nella nostra penisola. Questa splendida iniziativa che ha radici britanniche, altra concomitanza non casuale, è attiva nel Regno Unito dal 2001 e ha già raccolto centinaia di migliaia di sterline, tutte devolute in beneficienza, consentendo a più di 14.000 appassionati calciofili di indossare le proprie maglie del cuore calcando i prati verdi di svariati stadi inglesi, la stessa cosa sarà appunto possibile nell’ultimo weekend di maggio a Marassi. Vista la finalità benefica a favore dell'Ospedale Gaslini e il fascino di vestire la maglia del nostro Grifone, coronando il sogno di giocarvi all’interno del nostro Campo, Un Cuore Grande Così ha pensato di appoggiare la manifestazione divulgandone il più possibile la notizia sperando così che abbia il giusto risalto tra le fila del popolo rossoblù. La speranza è altresì che le maglie in vendita/all’asta online vengano aggiudicate tutte quante al più presto, magari prima degli “altri”, dimostrando così ancora una volta che quando c’è di mezzo -il fare del bene-, sotto qualsiasi forma, i tifosi del Genoa hanno sempre una marcia in più. Tutte le info relative al come partecipare si possono trovare, anche in italiano, sul sito web ufficiale: www.footballaid.com
Jack Savoretti, prodigio dalla voce ruvida con il Genoa nel cuore (da: lastampa.it di Daniela Borghi). Il cantautore italo-inglese ha presentato il suo tour italiano, che partirà il 5 marzo da Genova, nell’ambito delle iniziative collaterali al Festival di Sanremo. È italo -inglese e uno «sfegatato» (si definisce così) tifoso del Genoa il prodigio dalla voce ruvida e appassionata programmato dalle radio con la canzone «Changes». Il cantautore londinese con padre ligure ha presentato il suo tour italiano a «Casa Sanremo». «Il 5 marzo inizierò proprio da Genova - ha detto il cantautore trentenne - È per me una grande emozione e un onore. Tifosi si nasce, e da mio padre ho ereditato l’amore per il Genoa, che è la squadra migliore al mondo. Vado a Marassi da quando avevo 5 anni». Il nuovo talento della musica inglese con l’anima italiana (è una scoperta di Teresa Guccini, figlia del cantautore) è considerato il nuovo Bob Dylan. A luglio ha aperto il concerto di Bruce Springsteen all’Hard Rock Calling Festival di Londra. A ottobre ha partecipato all’ultimo video di Paul McCartney, «Queenie Eye», girato negli Abbey Road Studio di Londra con Meryl Streep, Johnny Depp, Kate Moss, Sienna Miller, Sean Penn, Jeremy Irons, Jude Law, Gary Barlow e altre star. «Se starnutite non mi vedete - dice - ma nel “making of” del video ci sono. È stato pazzesco vedere che McCartney era più emozionato di me a suonare in quel posto mitico». Di Springsteen dice: «Se lo chiamano il “boss” è perchè c’è un motivo», dice. Il singolo «Changes» che è già tra le 100 canzoni più programmate dalle radio italiane. «Sono venuto in Italia adesso perchè era il momento giusto», spiega. Savoretti è rimasto stupìto dal clima festivaliero: «E’ surreale. Avete un Festival unico, che si potrebbe migliorare, ma che mi ha divertito molto. Sono onorato di essere stato invitato a Sanremo e di averlo così conosciuto. In questi due giorni sanremesi sono successe cose incredibili», ha detto, con entusiasmo, nell’ambito del «live» al Palafiori. L’artista è stato infatti protagonista della movida post-Festival con un coinvolgente show case. Umile e appassionato, con il suo sorriso da bravo ragazzo e la grinta di chi vive per la musica, ha conquistato pubblico e addetti ai lavori. Ha proposti brani di sua composizione e «Ancora tu» di Lucio Battisti. «Da bambino mi sembrava un brano sciocco, e invece poi l’ho apprezzato molto - ha aggiunto - Sono cresciuto tra tanti stumenti musicali che trovavo in casa, ascoltando musica californiana e autori italiani come Battisti, Guccini e De Gregori. Mi piace sposare questi due generi». Ecco le date italiana del tour di Savoretti: 5 marzo La Claque, Genova 6 marzo Kojak, Ravenna 7 marzo New Age Club, Roncade 8 marzo Osteria Barabba, Padova 10 marzo Paradiso Perduto, Venezia 11 marzo Blue Note, Milano 12 marzo Cantina Bentivoglio, Bologna 14 marzo Lapsus, Torino 15 marzo Il Combo Social Club, Firenze 16 marzo Honey Money, Udine
Peters, il raccomandato di Krol (da: tuttocalciatori.net di Lucio Iaccarino). Il campione olandese del Napoli consigliò il Genoa di ingaggiare il biondo Jan, suo connazionale! Il centrocampista ringraziò, ma non sul campo: finì in serie B! Non solo nel lavoro, nella politica o in altre innumerevoli attività sociali: le raccomandazioni hanno coinvolto anche il mondo del calcio, e in fondo nessuno deve sorprendersi. Nel caso della meteora (??? ndr) in questione, tuttavia, il concetto va espresso in maniera meno brutale, quasi amichevole. Un grande calciatore, un campione assoluto del calibro di Ruud Krol, approdò in Italia dopo una carriera fantastica nell’Ajax, dove vinse tutto quello che c’era da vincere. Ebbene, l’olandese Krol giocò nei primi anni ottanta nel Napoli e manifestò il desiderio, sfruttando le amicizie italiane, di aiutare un suo amico e connazionale nel trovare un ingaggio dalle nostre parti. Un gesto che fu fin troppo equivocato, specie dopo un discusso Napoli-Genoa che qualche malizioso interpretò come l’antipasto di un accordo sottobanco. Nulla fu mai provato, è doveroso ricordarlo; l’anno dopo, però, il suddetto raccomandato (o meglio amico) firmò un contratto interessante proprio col Genoa. Purtroppo il suo passaggio nella nostra penisola fu tutt’altro che entusiasmante… Johannes Peters, Jan per gli amici, arrivò quindi in Liguria nell’estate del 1982; olandese di Rotterdam, era nato il 18 agosto del 1954. Riconoscibilissimo per la sua zazzera bionda, era un centrocampista con un’attiva propensione alla manovra, capace di trovare spesso la via del gol. In patria aveva militato nel NEC e nell’AZ ’67, e guardando il tabellino c’era certamente il sentore che fosse un buon acquisto per il sodalizio rossoblu. Nella sua prima annata, tuttavia, non arrivarono reti ma se non altro il Genoa riuscì a salvarsi, ma per un misero punticino: 27 contro i 26 del Cagliari (sardi retrocessi insieme a Cesena e Catanzaro). Jan Peters aveva sostanzialmente già deluso, ma il Genoa credeva ancora nelle sue doti e confermò l’olandese nel 1983/84. L’allenatore dei grifoni era Gigi Simoni, tutt’altro che uno sprovveduto, mentre scorrendo la rosa non mancavano nomi importanti come il bomber Briaschi, l’eterno Claudio Onofri, i giovani rampanti Policano e Paolo Benedetti e il portiere Martina. Il grave errore della società ligure, forse, fu quello di non correggere gli errori dell’anno precedente. Per la serie: errare è umano, perseverare è diabolico! Quella stagione, difatti, fu un’autentica via Crucis per tutti, con Peters addirittura ai margini fra panchina e infermeria. Jan giocò appena la metà delle partite in campionato, sempre in perenne difficoltà e con un rendimento scadente. Nel corso della nona giornata, datata 20 novembre 1983, arrivò il primo (ed unico) gol della sua esperienza italiana: Genoa-Inter 1-1, reti proprio di Peters e di Aldo Serena. Poi solo delusioni e sconfitte, per una classifica che ancora una volta si stava per trasformare in un’incredibile e drammatico rush finale per non retrocedere in serie B. Quattro squadre coinvolte per evitare il baratro, e a nulla servì la splendida vittoria nell’ultima partita (con Peters titolare e finalmente positivo) contro la Juventus campione d’Italia: 2-1, 13 maggio 1984 (Cabrini, aut. Vignola, Bosetti). Il Genoa arrivò a quota 25 punti, gli stessi della Lazio di Bruno Giordano: ma la serie B toccò ai liguri per il minor numero di punti conseguiti negli scontri diretti. La delusione fu cocente, il boccone difficilissimo da digerire… Tuttavia restò in Liguria anche in seconda serie, dove mise a segno 4 reti ma fu ancora limitato da fastidiosi guai fisici. Peters e l’Italia erano ormai dei separati in casa, ma prima dell’addio definitivo l’olandese ebbe un’altra breve esperienza con l’Atalanta: appena 8 partite nel 1984/85. Tornò in patria senza rimpianti, e gli toccò comunque ringraziare a vita il collega Krol per l’interessamento alla sua causa. Jan non era di certo un brocco patentato, e lo dimostra la sua carriera con la nazionale dell’Olanda. Una squadra straordinaria a quei tempi, anche se Peters apparteneva alla generazione successiva a quella dei talentuosi Cruijff, Neskens, Rep e dello stesso Krol. Giocò con gli orange fino al 1982, collezionando in tutto 31 gettoni di presenze con 4 gol. Nessun risultato di rilievo, se si esclude il terzo posto ai campionati europei del 1976 in Jugoslavia. E c’è una curiosità, condita da una piccola rivalsa: Peters si ritrovò come avversario l’Italia in due circostanze. Nella prima gli azzurri si imposero a Milano per 3-0, in un amichevole datata 24 febbraio 1979. Due anni dopo, però, in un incontro valido per la “Copa de Oro” a Montevideo, la sfida terminò in parità: 1-1. Il 6 gennaio 1981 Jan Peters si tolse lo sfizio di realizzare il punto per gli olandesi, pareggiando il gol iniziale del nostro Carlo Ancelotti. Sotto, una delle vere concause dell'amaro campionato '83/84
Dal Milan al Genoa, in Serie A le "cessioni" dei marchi valgono oltre 600 milioni (da: ilsole24ore.com). La cessione del marchio è stata "importata" nella Serie A dalla metà degli anni Duemila. Finita l’epoca d’oro delle super plusvalenze, e con la necessità di mettere a posto i bilanci, specie dopo l’intervento della Unione Europea che ha ridotto da 10 a 5 anni lo spazio in cui realizzare svalutazioni e ammortamenti in base alla legge spalma debiti del 2003, il calcio italiano si è finanziato con questo meccanismo con operazioni il cui valore contabile ha superato i 600 milioni di euro. Alla classica formula di vendita e riaffitto del marchio oggi si preferisce quella della formazione di una nuova società cui si conferisce il ramo d’azienda legato allo sfruttamento del brand, come nel caso del Genoa. La formula “classica”. Nel modello tradizionale, in pratica, il brand viene venduto a una società collegata al club calcistico, il quale incassa un certo corrispettivo subito, in modo da poter aggiustare i conti e “riaffitta” contestualmente il marchio dalla società per poterlo sfruttare commercialmente, pagando un canone periodico. I soldi che la società collegata versa al club calcistico per comprare il marchio vengono di solito da un prestito bancario. La società cessionaria del marchio quindi si trova a pagare a sua volta ogni anno alla banca le rate per estinguere il prestito (quota capitale più gli interessi che sono leggermente più bassi del canone di lacazione versato dal club calcistico). In definitiva, il giro di denaro non è altro che un prestito bancario “mascherato” che consente al club calcistico in difficoltà di incassare subito una somma importante, spalmando il rosso in più esercizi attraverso il riaffitto del suo brand. Le cessioni del marchio. Il Milan, per esempio, ha concluso un trasferimento parziale del proprio marchio a Milan Entertainment srl nel settembre del 2005 per circa 180 milioni. A dicembre 2005 l’Inter ha scorporato il marchio cedendolo a una società controllata, la Inter Brand Srl, per 158 milioni. A finanziare l’operazione, con 120 milioni, è stata Banca Antonveneta. A giugno 2005 è la volta di Reggina e Brescia che rispettivamente per 10 e 20 milioni hanno ceduto i marchi a Reggina Service srl e Brescia Service srl. A luglio 2005 la Sampdoria ha trasferito per 25 milioni il marchio a Selmabipienne. La Lazio, invece, ha venduto il marchio per 95 milioni a Lazio Marketing & Communication spa nel settembre 2006. Qualche mese dopo la Roma ha ceduto alla Soccer sas il ramo d’azienda dedicato a merchandising e marketing per 125 milioni. Da ultimo ci ha pensato l'Hellas Verona che ha ceduto nel 2013 le attività di valorizzazione e commercializzazione del marchio "Verona" alla società correlata "Hellas Verona Marketing & Communication Srl". Covisoc e Agenzia delle Entrate. Queste operazioni, secondo i detrattori, rappresentano null’altro che maquillage contabili. Chi le difende sostiene che si tratta di forme di razionalizzazione delle attività dell’impresa calcistica La Covisoc, l’organo di controllo del settore, aveva sollevato all’epoca qualche obiezione poi rientrata a patto che la valutazione del brand fosse basata su una perizia autorevole. Lo stesso Fisco dopo un’attenta analisi ha escluso forme di elusione a patto che ci sia la prova dell’effettiva reddititivà dell’operazione. Il caso Siena-Mps. Tra i casi più recenti c’è quello del Siena, club che ha dovuto rinunciare al sostegno garantito dal Monte dei Paschi attraverso le tradizionali sponsorizzazioni per circa 8 milioni annui (il team di basket ne riceveva circa 20). Nel 2012, la banca ancora guidata da Giuseppe Mussari ha finanziato una complessa operazione da 25 milioni relativa alla cessione di un ramo d’azienda dall’A.c. Siena, il club che fa capo alla famiglia Mezzaroma, a una srl, la B&W communication. A questa società, costituita il 12 ottobre 2011, sono stati ceduti i marchi A.C. Siena ed A.C. Siena Robur 1904, brand che avevano un valore contabile di 14.826 euro e il cui trasferimento ha generato una plusvalenza di 25.085.174 euro. La vendita è stata stipulata il 29 dicembre 2011 e "sospesa" in attesa che la B&W communication trovasse un finanziamento, giunto, dopo le vacanze natalizie, il 9 febbraio 2012 grazie a Mps. A cessione avvenuta il Siena Calcio ha concordato con la B&W communication una licenza di durata ventennale per poter utilizzare i due marchi sociali: per questa concessione ha pagato alla B&W communication 1,5 milioni nel 2012, e corrisponderà 1,4 milioni quest’anno e 1 milione all’anno per tutta la durata dell’accordo. Dalle visure camerali le quote della B&W (che dichiara un capitale sociale, dato in pegno a Rocca Salimbeni, di 120mila euro) risultano di proprietà di Davide Buccioni, Fabrizio Sacco e della "Pontina srl 2000", società a sua volta riconducibile al gruppo Impreme Spa della famiglia Mezzaroma. Genoa, brand e ramo d’azienda. Come anticipato dal quotidiano Milano Finanza, il Consiglio di amministrazione del Genoa Cfc ha approvato il 27 dicembre 2013 un'operazione di spin-off dalla società di calcio ad una Newco denominata “Genoa Image Store Museum & Marketing” del ramo d’azienda relativo all’area commerciale legata allo sfruttamento del Brand Genoa con riferimento alle sponsorizzazioni, al marketing, alla pubblicità e al merchandising. Genoa Image Srl, partecipata dall’unico socio (Genoa Cfc), avrà come oggetto sociale lo sviluppo e la commercializzazione del brand del club più antico d'Italia. Il valore del ramo d’azienda conferito nella nuova società è stato stimato in 23,4 milioni. Quindi in questo caso non si è avuta una cessione più riaffitto del marchio secondo lo schema tradizionale, ma un conferimento del ramo d’azienda in una nuova società che fa capo al Genoa. Questo significa che i benefici contabili dell’operazione relativi alla plusvalenza realizzata non si vedranno (o non dovrebbero vedersi) nel conto economico, bensì nello stato patrimoniale: all’attivo avremo l’emersione di una partecipazione di 23,4 milioni che andrà a rafforzare il patrimonio netto qualosa sia minacciato da eventuali perdite di esercizio e al passivo una riserva di analoga entità. In questo modo, peraltro, fiscalmente si tratta di un’operazione neutrale su cui non andranno versate imposte. ![logo_prova[1]_mod.gif](img/logo_prova[1]_mod.gif)
Tratto dal famoso libro "Il Maledetto United" di David Peace sul grande Brian Clough. "… Mezz’ora prima del calcio d’inizio Peter (il fidato collaboratore di Clough, ndr) irrompe nello spogliatoio rosso in faccia gridando: “Haller, la loro riserva, è di nuovo nello spogliatoio di quel cazzo di arbitro. L’ho appena visto entrare. E’ già la seconda volta, e parlano in fottuto crucco”. “Lascia perdere” – gli dico – potrebbe essere qualsiasi cosa”. “Col cazzo – grida Pete – Haller è un tedesco di merda e lo è anche quel cazzo di arbitro, Schulenberg. Non è giusto. Te lo dico lo, stanno tramando qualcosa”. “Lascia perdere – gli dico un’altra volta – pensiamo alla partita e al gioco”. Semifinale di andata della Coppa dei campioni, 11 aprile 1973. Lo stadio Comunale, le bandiere bianconere di 72.000 tifosi della Juventus, la Vecchia Signora in persona, in bianco e nero: Zoff, Spinosi, Marchetti, Furino, Morini, Salvadore, Causio, Cuccureddu, Anastasi, Capello e Altafini. “Sporchi, sporchi bastardi” sta dicendo Pete. Lo sta dicendo prima ancora che ci sediamo in panchina, prima ancora che si sia giocato un solo pallone. Per i primi 20 minuti incassiamo le entrate in ritardo, le magliette tirate, le astuzie di ogni genere. Non fanno che buttarsi a terra sotto gli occhi dell’arbitro, cazzo. Le ostruzioni, gli sgambetti, le trattenute. “Sporchi simulatori, truffatori, bastardi italiani del cazzo”. Poi Furino mette un gomito in faccia a Gemmil. Archie reagisce, appena leggermente, ed ecco che Gemmil finisce sul taccuino dell’arbitro. “Vaffanculo, arbitro! – urla Pete – e quello stronzo di Furino?”. Roy Mc Farland salta per contendere un pallone alto a Cuccureddu. Le teste di Mc Farland e Cuccureddu si scontrano. Mc Farland, il nostro capitano, viene ammonito. “Per cosa? Per cosa, cazzo? Per un cazzo di niente. Niente!”. Gemmil ammonito. Per niente. Mc Farland ammonito. Per niente. Da quel culo rotto del loro amico arbitro crucco del cazzo. Con Gemmil e Mc Farland diffidati nel turno precedente, questa è proprio la cosa che volevi evitare. Adesso i due nostri uomini più importanti saranno squalificati per il ritorno, proprio la cosa che volevi evitare. “E loro lo sapevano, lo sapevano eccome, cazzo!”. Pete aveva visto giusto. Altafini porta la Juve in vantaggio, ma poi pareggia Hector. 1 a 1 !!!!!! Salvadore e Morini battuti, Zoff con il culo per terra, e lo stadio Comunale ammutolito, le bandiere bianconere afflosciate. Si va all’intervallo. Haller, la riserva, si alza dalla loro panchina e scende nel tunnel assieme a Schulenberg, l’arbitro. “Guarda là – dice Pete – si può essere sfacciati così?”. E poi corre giù dal tunnel dietro di loro. “Scusatemi signori – grida – io parlo tedesco. Vi dispiace se ascolto?”. Ma Haller inizia a colpire Pete nelle costole, chiamando a gran voce gli addetti alla sicurezza, che spingono Pete contro il muro del tunnel e lo tengono fermo lì. Io non posso intervenire, cerco di fare in modo che la squadra non sia coinvolta nel parapiglia, entro con i giocatori nello spogliatoio, è qui che mi guadagno da vivere. “Questa è gente da terza divisione – dico alla squadra – basta che manteniate la calma”. Ma è qui che le cose vanno storte, pensando a Pete contro il muro. Pete immobilizzato, Pete che ha perso la calma. Difendersi sull’1 a 1? Attaccare sull’1 a 1? Ma il Derby County non si difende ne attacca. Hanno tutti perso la calma. Fino a quando Roger Davies esplode e dà una testata a Morini. Espulso. Segnano Causio e Altafini, finisce 3 a 1 per loro, ed ecco le loro bandiere sventolare. Bianconere. Fottutamente bianconere. I truffatori non dovrebbero vincere mai. “Maledetti bastardi truffatori” – grido ai loro giornalisti – non parlo con dei bastardi truffatori!”. Ma ormai è tardi sei fuori dalla coppa. Odi la Juventus. Odi la Vecchia Fottuta Signora di Torino. La Puttana d’Europa. Ricorderai il suo fetore, il suo tanfo, lo ricorderò per il resto dei tuoi giorni. Il fetore della corruzione, il tanfo del marciume. La fine di ogni bene, l’inizio di ogni male. Non ti consola che la Juve venga poi battuta 1 a 0 dall’Ajax nella finale di Belgrado. Non ti consola che l’arbitro portoghese, Francisco Lobo, racconti all’Uefa del tentativo di corromperlo, dell’offerta di 5000 dollari e una Fiat che ha ricevuto per farli vincere la partita di ritorno. Non ti consola che cinque anni fa perdevate in casa contro l’Hull City davanti a 15.000 persone, sedicesimi in seconda divisione. Non ti consola un cazzo di niente. Non può esserci consolazione. La Juventus vi ha steso e derubato, la Vecchia Puttana vi ha sottratto con l’imbroglio al vostro destino, la Coppa dei campioni. Questi episodi saranno sempre con te, non ti lasceranno mai. Ancora ti perseguitano e ti braccano, e ti braccheranno per sempre. La fine di ogni bene, l’inizio di ogni male. Torino, Italia, aprile 1973 ” Sotto, le immagini dei goals dell'andata e le principali azioni del ritorno terminato 0-0
Lettera alla mamma di un bambino "scarso" che vuole smettere di giocare (da: realvirtus.it) Passaggio di Bettonia (PG) - Il settore giovanile della Real Virtus è una realtà del calcio dilettantistico locale in piena crescita, con più di 70 iscritti, dai Piccoli Amici ai Giovanissimi. L'obiettivo della società è quello di essere un importante veicolo di aggregazione per i bambini, per i ragazzi del posto, che possano imparare i valori dello sport e della vita, prima che dei bravi calciatori, con i quali costruire la Prima squadra del futuro. Recentemente ci è successo che uno dei nostri bambini ha deciso di abbandonare l'attività agonistica. Uno dei nostri tecnici, che lo ha allenato nel corso della scorsa stagione, Andrea Checcarelli ha deciso di scrivere una lettera alla madre, per convincerlo a non mollare. La società, di comune accordo con tecnico e genitore, ha deciso di rendere pubblica questa lettera, proprio perchè in essa riconosce la propria filosofia di lavoro e i suoi valori di riferimento, nei quali crede e attraverso i quali vive la quotidianità degli allenamenti e delle partite. "Salve signora! Per me che ho allenato un anno suo figlio, sapere che è sua intenzione quella di interrompere l'attività, è un piccolo-grande fallimento da allenatore. Un fallimento non solo come tecnico,ma anche come persona, indipendentemente da quelle che sono le problematiche singole del bambino, della famiglia. Non essere riuscito a coinvolgerlo a pieno, a stimolarlo, ad integrarlo al meglio all'interno della squadra, a fargli migliorare quei limiti quel tanto che sarebbe bastato, a farlo considerare "più bravo" da se stesso, ma anche da sua madre.. Volevo comunque dirle che suo figlio non sarà stato il migliore fisicamente, tecnicamente, tatticamente..... ma eccelleva, era il più bravo, per la sua attenzione, per l'applicazione delle direttive dategli. Per il rispetto che ha sempre dimostrato nei miei confronti, durante gli allenamenti ed alle partite. In questo era il migliore. E' sicuramente il migliore, basta farlo continuare a giocare, se è quello che lui vuole! Con tutte queste qualità umane, si può migliorare tantissimo, lavorando per colmare i suoi limiti. Glielo dice uno che, una volta, non aveva spazio a Passaggio di Bettona, nella squadra dei suoi amici e coetanei. A 14 anni stavo per smettere, andai a giocare in un altro ambiente, a Cannara, e trovai il modo di esprimere al meglio quello che avevo dentro. Di migliorare, di vincere tante partite, tante quante ne avevo perse a Passaggio quando, oltretutto, non venivo molto considerato dall'ambiente e dall'allenatore. A Passaggio di Bettona ci sono tornato a 20 anni, dopo aver vinto anche un campionato juniores nazionale per squadre dilettanti, con il Cannara. Ci sono tornato, perché m'hanno cercato loro (evidentemente qualcuno non mi aveva considerato quanto meritavo in passato) ed ho giocato e vinto tanto. Ho vinto anche un campionato anche a Passaggio, prima di infortunarmi e di smettere di giocare qualche anno fa ma smettere di giocare è una delle poche cose che cambierei del mio passato, glielo assicuro! Anche perché nel calcio sono riuscito a dimostrare me stesso che con la passione ed il lavoro si possono ottenere grandi soddisfazioni personali, senza sotterfugi di sorta, in maniera pulita. Solo facendosi "un culo così", insomma. Aggiungo che le qualità che ha suo figlio, non sono assolutamente secondarie all'interno di un contesto di gruppo. Così come è giusto cercare di educare, punire, ma non emarginare, un bambino dotato tecnicamente,ma maleducato, è altrettanto giusto permettere a che è dotato di altre qualità, e meno di altre, di potersi comunque esprimere. Oltretutto in un contesto come la Real Virtus. Una società che offre un servizio alle famiglie ed ai bambini del posto, più per funzione sociale, che per spirito competitivo, di vittoria, di primato. E' bello vedere che gli amici del paese, possano avere un luogo di ritrovo, per la propria crescita, visto che il nostro paese non ne offre di tantissimi. Le qualità di suo figlio, sia nella vita settimanale del gruppo, che nella domenica di gara, sono molto importanti per la squadra. Anche per raggiungere quei risultati che, ogni tanto, fanno bene al gruppo stesso. Perchè suo figlio, sopratutto grazie a voi genitori è un bambino che è contento di giocare anche solo 5 minuti. Si impegna, col sorriso. Fa un po' da contraltare rispetto a chi, dotato tecnicamente, gode della fiducia del mister, a volte, non meritandosela. E gioca magari controvoglia. Non so se c'era quando fece gol; io mi ricordo bene. È stato molto bello, vederlo esultare. Una scena quasi da film.... chi l'avrebbe mai detto? Forse neanch'io, di certo.... però il calcio è anche questo. Se ha avuto quella piccola gioia, se l'e' sudata tutta, suo figlio. Per questo è più bella! Non lo privi di quei 5 minuti se per lui sono importanti. Alla squadra mancherebbe anche un genitore come te. In un contesto dove tutti gli animi sono esagitati, c'è maleducazione, esasperazione, persone che credono di essere mamma e papà di Messi, Maradona e Van Basten, la sua voce fuori dal coro ed il suo profilo basso, sono un esempio per gli altri genitori. Ma forse, mi permetta di dirglielo, è un po' troppo fuori dal coro. Talmente tanto che finisce per uniformarsi al coro stesso... se lascia perché suo figlio "è scarso" diventa come quelli che credono di avere il figlio "forte" e sbraitano da fuori alla rete, peggio dei cani randagi, pretendendo spazio e importanza. E questa fine non se la meriterebbe, non la rappresenterebbe. Nel calcio ci vorrebbero più bambini come suo figlio e più genitori come lei. Pensaci e pensateci, anzi: ripensateci!" 
Tutte le cose belle finiscono e anche in Kenya si chiude un ciclo. La Scuola Calcio rossoblu cessa la sua attività sociale a Malindi, dopo aver portato 16 ragazzini su 22 alle scuole superiori, grazie al grande stimolo di allenarsi e giocare nella “Karibuni-Genoa”, la squadra di under 15 voluta da me, Freddie del Curatolo, dalla Onlus Karibuni e sostenuta dal Genoa Cfc 1893e dai suoi tifosi. Nel 2009 Freddie ha selezionato bambini di 10 anni, prendendoli da situazioni al limite della sopravvivenza nei quartieri poveri e degradati della cittadina keniota. Alcuni senza i genitori, altri figli di carcerati e prostitute, altri ancora costretti a dormire in baracche di fango e lamiera senza un letto che non fosse pagliericcio e consumando un pasto al giorno a base di polenta e spinaci. Insegnando a questi ragazzi che con la volontà e l’applicazione, e un aiuto da chi non ha altri interessi che il miglioramento delle loro condizioni, in quattro anni la Karibuni-Genoa è riuscita a trasferire due piccoli talenti, Eugene Moses e Baraka Badi, nel college di una squadra keniota di Serie A, il Thika United. Altri quattro ragazzi sono approdati alla prima classe delle superiori, con ottimi voti, già l’anno scorso e quest’anno altri dieci li seguiranno. Molti di loro hanno già abbandonato l’attività sportiva, ma sono concentrati sull’obbiettivo che potrà cambiare per sempre la loro vita e quella delle loro famiglie. La scuola calcio, che richiederebbe troppe risorse per continuare la sua attività, chiude i battenti, ma insieme con Karibuni Onlus, con un contributo annuale della società Genoa Cfc 1893 e con le donazioni di Grifoni in Rete, Volley VGP Genoa e alcuni privati, continueremo a pagare le rette scolastiche a questi ragazzi, che non solo costituiscono un piccolissimo ma significativo esempio di speranza nel futuro per tanti loro coetanei, ma porteranno sempre i colori rossoblu nel cuore. Grazie a tutti quelli che hanno alimentato questo sogno, ci hanno aiutato e continueranno a farlo. Freddie del Curatolo La fine di un sogno. Al di là dei freddi comunicati, per quanto sereni possano essere, vorrei lasciarvi quest’ultima considerazione, mentre gli occhi non smettono di bruciare, come la terra d’Africa sotto il sole cocente di questi giorni di gennaio. Quando tutto si realizzò, iniziai a credere talmente forte che mi uscivano le lacrime. Credevo che con la forza di volontà, anche in una terra difficile e devastata dalla grettezza umana come l’Africa, si potessero avverare piccoli ma significativi (e utili!) miracoli. Avevo selezionato un gruppetto di bambini di dieci anni, di cui i più fortunati avevano entrambi i genitori in salute, dormivano su un materasso e mangiavano due volte al giorno. Ma i fortunati erano 3 su 22. Gli altri erano orfani, figli di prostitute, fratelli di spacciatori, primogeniti di padri in galera con sei o sette fratellini venuti al mondo come gazzelle e non ancora sbranati dalla miseria, dalle malattie e dalla cruda realtà dello slum. Un sogno si avverava per me e per loro: poter aiutare questi ragazzi ad uscire da una condizione che alla gente di qua, avvolta in un fatalismo ancestrale e terribilmente protettivo, pare inevitabile. Dimostrare a tutti che c’è una via d’uscita, attraverso lo studio e l’applicazione, e fare gruppo. Mi serviva un’associazione seria, una Onlus che non fosse di quelle che lucrano sul mantenere la povertà nel terzo mondo, mi serviva uno sponsor sportivo. Che poi fosse addirittura la squadra per cui ho la “passionaccia”, era un sogno nel sogno. Siamo partiti, nel 2009. Tante speranze, moltissime difficoltà. Un allenatore ciclista ma serio come pochi ad aiutarmi, due assistenti come nuovi padri di famiglia. Un gruppo unito che si allenava tre giorni a settimana quasi dovesse partecipare alla Champions League. In realtà avevano capito che in palio c’era molto di più. Dopo quattro anni di gioie, lezioni, giornate di festa, esami, esempi, tornei, improvvisati derby, merende, trasferte, sorprese, defezioni, promesse mancate, piedi nudi, bastoni tra le ruote e ruote della fortuna inceppate e poi ripartite, eccoci arrivati al capolinea. Come una barca a cui abbiamo evitato la deriva, ci siamo spiaggiati in abbrivio residuo riuscendo a portare in quattro anni alle scuole superiori 16 ragazzini, e altri 2 sono già da un anno nel college di una delle più importanti squadre della Serie A keniota. A Malindi, alla Secondary School, ci sono anche Mystick Reuben e Joseph Nyabawe, che ha avuto voti talmente alti che mi ha chiesto di essere trasferito in una scuola superiore migliore. “Tu sei un Grifone in Rete – gli ho detto – a te nessun traguardo è vietato”. E soprattutto, per te non ci sarà mai un capolinea, ne sono sicuro.
"Niente soldi ai polacchi, restiamo in carcere" (da: sslaziofans.it). “Neanche un euro di cauzione ai polacchi, restiamo in carcere fino al 28 gennaio”. Discorso chiuso. Da Varsavia arriva come una frustata la decisione di Alberto Corsino, Matteo Buttinelli e Daniele De Paolis, i 3 ragazzi laziali ancora detenuti nel carcere di Bialoleka, annunciata su un quotidiano romano dal loro avvocato, Roberto Privitera. Il danno è fatto, la ferita è ancora aperta e profonda, da qui la decisione di mettere la parola fine, di non aggiungere un danno (economico per le famiglie) alla beffa già subita in questa vicenda a dir poco paradossale. Giovedì, a Varsavia è in programma l’udienza in tribunale per discutere l’istanza di scarcerazione dietro pagamento di una cauzione presentata dal legale dei 3 ragazzi ancora detenuti, ma nei giorni successivi Alberto, Matteo e Daniele hanno maturato la decisione di compiere questo gesto di protesta clamoroso. Con oggi sono 42 giorni che quei ragazzi sono rinchiusi nel carcere di Bialoleka, accusati di “adunata sediziosa” e condannati in un processo che a detta di tutti i presenti si è rivelato una vera e propria farsa, addirittura superiore a quella che aveva portato a quasi 200 arresti in presenza del nulla: nessuno scontro, nessun ferito in quella gelida serata di novembre in cui la Polizia di Varsavia, su ordine di chissà chi, ha compiuto quella retata, portando in carcere tanti ragazzi, ma anche donne e padri di famiglia che avevano il solo torto di essersi trovati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Abbiamo tutti impressi nella memoria i racconti di quei giorni di follia, dei verbali fatti firmare senza tradurre quello che c’era scritto, delle accuse di disturbo alla quiete pubblica o di intralcio al traffico che in Italia spesso non vengono sanzionati neanche con una multa ma che a Varsavia a qualcuno sono costati giorni di carcere e una ferita che non si rimarginerà mai. Il tutto, l’incapacità di agire o la mancanza di volontà (e di peso politico) del governo italiano e della Comunità Europea di fare pressioni sul governo polacco. Solo qualche nota ufficiale, un paio di visite quasi per chiedere clemenza, ma nulla più. Davanti a tutto questo, con 42 giorni di carcere sulle spalle e la possibilità di uscire comunque il 28 gennaio (giorno in cui scadono i termini della custodia cautelare), i 3 ragazzi hanno deciso di compiere un gesto clamoroso che è un atto di accusa verso tutto il sistema. Alberto Corsino ha già rinunciato ufficialmente al ricorso, Matteo Buttinelli e Daniele De Paolis no, ma il loro avvocato ha annunciato che, anche in caso di accoglimento dell’istanza, rinunceranno ad uscire in cambio del pagamento di 7200 euro di cauzione. E resteranno a Bialoleka fino al 28 gennaio. Indipendentemente dall’idea che si è fatto ciascuno di noi su questa vicenda, il gesto di questi ragazzi non può lasciare indifferenti. Perché a Varsavia è successo un qualcosa che non si vede dai tempi in cui il muro di Berlino era ancora in piedi e bello solido, lì a separare l’Europa dal mondo dell’Est, quello in cui il termine “libertà” in molti casi era solo un termine scritto su un vocabolario, un concetto astratto, in alcuni casi un sogno. Quel sogno che portava tanti a rischiare la vita per scavalcare quel muro alla ricerca della libertà. Il gesto di questi ragazzi deve far riflettere e deve far vergognare chi ha assistito impotente a questo scempio, a questa sospensione dei diritti civili e a questa negazione assoluta della libertà che si è consumata quella sera del 28 novembre a Varsavia. Per questo motivo, indipendentemente da tutto, Alberto, Matteo e Daniele meritano un abbraccio e un applauso. Non sono eroi, ma sono uomini che hanno deciso di non accettare l’ennesimo ricatto, di pagare fino in fondo anche colpe che non hanno commesso pur di non piegarsi ad un sistema assurdo, marcio. E per questo, meritano il mio personale rispetto e quello di chiunque, avendo una coscienza, in cuor suo sa che quello che hanno vissuto quei 3 ragazzi (e con loro tutti quelli finiti in carcere quel 28 novembre) sarebbe potuto succedere a chiunque di noi.
UCCIDI PAUL BREITNER - un dialogo sovversivo (da: lacrimediborghetti.com) Dortmund, 24 settembre 1978, un gruppo di 3 unità della Rote Armee Fraktion si sta allenando in un poligono di tiro clandestino poco fuori dalla città. Saranno sorpresi dalla polizia e uno di loro resterà a terra ucciso. Questo è l’ultimo dialogo tra due di loro, Angelika Speitel e Michael Knoll, mentre il terzo, Werner Lotze, si era allontanato per una ricognizione.
Angelika: Ma è sicuro qui? Michael: Sicurissimo, chi cazzo vuoi che venga a cercarci a Lüttringshausen, è un posto dimenticato da dio e dagli uomini. A: Dagli uomini sicuramente, come la Germania. Che paese di merda… Qui a furia di voler rimuovere la propria storia, il proprio passato, hanno addirittura preferito dimenticare di esser uomini… Che schifo. M: E’ proprio contro il rimosso che combattiamo, siamo l’avanguardia della memoria, pronti con tutti i mezzi a infilarci nel cuore e nel cervello di questo fottuto paese nazista. A: Già, siamo lo specchio di Alice, davanti a cui i padroni e i borghesi di questa terra vedranno finalmente riflessa la loro vera immagine di gerarchi nazisti. M: Per questo il mese scorso abbiamo rapito Hanns Martin Schleyer, fottuto esempio di come un bastardo carnefice delle SS si sia riciclato a capo della Confindustria tedesca. A: Eh, siamo stati bravi… Ma avremmo dovuto prendere Breitner… M: Paul Breitner, il calciatore? A: Proprio lui, quel borghese finto rivoluzionario del cazzo. M: Solo perché l’anno scorso è tornato in Germania a giocare con l’Eintracht Braunschweig, e chiaramente l’ha fatto solo per soldi? Perché si è fatto sponsorizzare da un’azienda di tabacco? Dai cristo, le sigarette le fumiamo tutti… Anzi, facciamo una pausa? A: Si, aspetta un attimo che ricarico il ferro… Ecco, mica male, sei su sei a segno e tre centri, mi sento Clint Eastwood in Per un pugno di dollari. M: Gian Maria Volonté piuttosto, che è un compagno. A: Sì, Volonté, hai ragione… Comunque su Breitner, volevo dire… M: Oh, senti, non mi toccare Breitner… Non mi frega niente che abbia fatto vincere alla Germania l’Europeo del 1972 o il Mondiale del 1974, segnando pure un gol, che ovviamente io non tifo per una nazionale che rappresenta un paese liberticida e assassino che affama il suo popolo. E’ che però Breitner è proprio un gran cazzo di giocatore, terzino, centrocampista attaccante: dove lo metti, gioca da dio. A: E ha fatto vincere tutto anche al Bayern di Monaco, scudetti, la Coppa dei Campioni.. Al Bayern, capisci? La squadra dei padroni e del capitale... Senti... Non starò qui a farti una menata sul calcio come oppio dei popoli, che pure a me il calcio piace e anzi, potrebbe pure diventare una narrazione rivoluzionaria se non fosse in mano a una manica di pipparoli... Quello che mi disturba di Breitner è proprio il suo atteggiarsi a compagno quando è un lurido stronzo. M: Dici la foto con Mao? Le storie che lui si presenta agli allenamenti con il libretto rosso, che dice di aver letto Lenin e fatto il ’68? A: Appunto, che siccome gioca all’estrema sinistra l’estetica pop gli ha cucito addosso l’immagine di uomo di estrema sinistra. La banalità del male proprio. Che poi, e questo è il punto, non gliel’hanno mica cucita addosso, se l’è fatta fare lui dai migliori sarti di Monaco, e a caro prezzo. M: Che sia un uomo falso non ci sono dubbi, è pure andato a giocare e a vincere per tre anni al Real Madrid, la squadra di Franco, dei fascistissimi Ultras Sur, come cazzo lo concili con il tuo essere maoista questo? A: Si ma… M: E poi a fine campionato, nel 1974, diceva che i soldi sono la rovina dell’uomo, e due mesi dopo, prima dei Mondiali, diceva che se in federazione non aumentavano il premio vittoria lui se ne tornava a casa e non avrebbe più giocato con la nazionale. A: E sta zitto un po’, ho capito che quando si parla di calcio a voi maschietti vi parte subito il testosterone, ma stavo dicendo tutt’altra cosa… M: … A: Se la smetti di fare l’Helmut Schön della situazione, che in questo paese di merda siete tutti allenatori, dicevo, a me di Paul Breitner dà fastidio altro. Quello che odio è proprio il suo aver trasformato la controcultura in un modo di atteggiarsi, la rivoluzione in una parola da lasciar cadere in una cena elegante per far provare un brivido agli astanti e attempati signori borghesi. M: Beh, ma dai, non è certo l’unico lui. A: Certo, noi stessi stiamo scadendo nel ridicolo. Questa seconda generazione della Rote Armee Fraktion rischia di essere la brutta presa per il culo della prima. Già il fatto che a organizzare lo scorso anno il rapimento e l’esecuzione del banchiere Jürgen Ponto sia stata la sua figlioccia, ti dice molto sulla composizione rivoluzionaria del gruppo. Siamo diventati un gruppetto di borghesi che giocano alla guerra, non oso immaginare che farsa carnevalesca possa mai diventare un’eventuale terza generazione… M: Ehi, ci credo che siamo la seconda generazione, la prima l’hanno sterminata… Guarda la povera Ulrike, ammazzata in cella come una cagna dopo averla condannata con prove false e averla tenuta in isolamento e in deprivazione sensoriale per anni. A: Si certo le guardie del capitale sono sempre all’attacco, ma questo non giustifica essere diventati un gruppetto di figli di industriali che giocano a fare la guerra con i loro padri e le loro madri… Che consultassero un cazzo di psichiatra invece di arruolarsi con noi... In questo Breitner è l’esempio: lui è come noi oggi. Il comunista da esposizione nella galleria d’avanguardia pop, il finto rivoluzionario che passerà alla storia come tale, e screditerà quanto di buono fatto dagli altri. M: Capisco cosa vuoi dire. Guarda Paolo Sollier, lui mica va giocare nella squadra di Mussolini o in quella degli Agnelli, non appare sui cartelloni pubblicitari né si atteggia sotto i poster di Mao, lui fa il calciatore perché gli piace giocare a calcio, perché è un mestiere, e perché attraverso il gioco tu puoi diffondere gli ideali rivoluzionari, e non al contrario ridurre la rivoluzione a un gioco. A: Non mi stupirei infatti se tra qualche anno, magari al prossimo Mondiale, quando a Breitner un’azienda di dopobarba proponesse di rasarsi la barba e i basettoni in cambio di un mucchio di quattrini, lui dovesse accettare. E quando la rivolta è solo nei tuoi vestiti, quando sei nudo ti riveli per quel conservatore di merda che sei. M: Quindi dici che dovremmo rapire Breitner, come esempio di giocatore controrivoluzionario? A: Sarebbe il più bel messaggio possibile per sottrarre il calcio dal giogo capitalista e liberarlo nel suo potenziale rivoluzionario. A: Merda la polizia.. M: Oh cazzo, spara, spara! A: Giù la testa! M: Cazzo, come cazzo ci hanno trovato! A: Non lo so, qualcuno se l’è cantata. Sbirri bastardi, spara, spara, sparaaaaa… M: Cazzo Angelika mi hanno preso… Mi hanno preso.. A: Michaaaaaael! M: Scappa, Angelika ammazzali tutti e scappa, cazzo. A: Michael no ti prego... Michael resisti... Non andartene ti prego, cazzo Michael... Non andar-te-ne… M: N-non ce la faccio… A: Michael… M: Angelika, non ce la faccio… Salvati, e fammi l'ultimo favore… Uccidi Paul Breitner…
|
|
Bastano pochi click! |
|
Totale per homepage | Euro donati nella 21a Edizione estiva:
Clicca per visualizzare le donazioni
|
 | 1996228 visitatori 4 visitatori online |
|